Quando si ragiona di Dante, il primo aspetto che di lui balza evidente è la poesia. E in effetti il suo poema, la Divina Commedia, lo fa brillare ancora oggi, e forse per sempre, come stella di prima grandezza nel firmamento poetico mondiale, raggiungendo i suoi endecasillabi i più eccelsi vertici dell’arte. Un pregio che pochi, nel corso dei secoli, hanno come lui raggiunto, e che gli stessi poeti moderni gli riconoscono.
Ne cito uno per tutti: il grande Borges, che ha definito il poema dantesco l’opera più grande che sia stata mai scritta. E mai un titolo è stato così felice, perché nel testo è raccontato, con impareggiabile maestria, la commedia della vita nell’universalità dei suoi aspetti: i vizi e le virtù, l’amore e l’odio, il mito e la storia e, soprattutto, la passione politica, tanta passione politica che costò a Dante, uomo di parte, la pena tremenda dell’esilio.
Inoltre, vi si ritrova l’ansia perenne dell’uomo di riscattarsi dal peccato, di ritrovare il suo Eden perduto e, con esso, il desiderio, profondo, di ascendere a Dio. Per quanto riguarda, poi, l’aspetto stilistico-formale, l’opera dantesca è di una altezza a dir poco stupefacente, tanto che Boccaccio, anche per questo, la chiamò divina. Perché Dante, da autentico ingegnere delle parole, ha dato un esempio mirabile di come, con una lingua appena agli albori (ricordiamo infatti che la lingua letteraria era ancora il latino) si potesse scrivere un così grande poema con l’utilizzo della terzina incatenata, una strofa di difficile composizione da lui inventata.
Pertanto ha nobilitato e anche incrementato il volgare, traendo molti termini dal latino (qualcuno pure dal francese particolari, tutta la complessa costruzione dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso.
Un’altra caratteristica della grandezza di Dante consiste nel fatto che, nonostante siano trascorsi sette secoli dalla sua composizione, la sua opera è estremamente attuale, e ogni peccato da lui denunciato ancora offusca in modo maligno l’uomo di oggi.
Perché ancora e più che mai nel mondo contemporaneo infierisce l’incontinenza, soprattutto per quanto riguarda l’insaziabile sete di potere e di denaro da parte di una minoranza di uomini, e in particolar modo di multinazionali e di Stati, per nulla preoccupati se la loro politica opprime pesantemente l’economia di altri individui e Stati (e sono la stragrande maggioranza) che vivono soltanto della loro miseria.
E poi la violenza, anche questa perfido flagello dell’umanità: violenza che si manifesta, e in modo brutale, contro le persone, contro le donne, e che trova terreno fertile nel terrorismo e nelle tante guerre che imperversano in molte parti del pianeta.
E infine la fraudolenza: e a tal proposito si possono riportare numerosi esempi, ma è sufficiente fare riferimento all’informazione sovente distorta che viene fornita dai mass media (soprattutto da internet) per rendersi conto che il fenomeno esiste e artiglia virulento. avverte, nella mente e nel cuore, il forte desiderio di leggere e rileggere questo testo, che si può senz’altro definire come la summa del sapere medioevale.
Perché Dante non smette mai di essere poeta, riuscendo sempre a emozionare il lettore con il suo ineguagliabile stile e con la musicalità, la fluidità e gli sfolgorii di luce dei suoi endecasillabi anche quando è scienziato. Già la struttura stessa dell’opera presenta un disegno rigoroso, coi numeri tre, nove e dieci a far da padrone. I versi sono in terza rima e tre sono le cantiche, ognuna con trentatré canti ma con uno, il primo dell’Inferno, introduttivo, consentendo così di raggiungere i cento canti, il multiplo di dieci.
E poi mancano soltanto poche centinaia di parole per raggiungere il numero di 100.000 (quasi 1.000 parole per ogni canto). E ancora. L’Inferno è diviso in nove cerchi, più un vestibolo; il Purgatorio in nove settori (l’Antipurgatorio, le sette cornici e il Paradiso Terrestre) più un’isoletta; il Paradiso in nove cieli più l’Empireo.
Anche in questo caso domina, col suo multiplo, il numero tre, e si raggiunge il numero dieci. E si può ancora continuare: tre sono le fiere che ostacolano a Dante l’ascesa al “dilettoso monte”, tre i sommi traditori (Bruto, Cassio e Giuda), tre le donne benedette (Beatrice, Santa Lucia, Maria), tre le persone in un’unica natura divina, però mi fermo, aggiungendo solamente che le tre cantiche presentano un sostanziale equilibrio nel numero di versi, mantenendosi intorno ai 4700 in ognuna di esse. antico) e inventando espressioni divenute proverbiali, per cui è considerato il padre della lingua italiana, nonostante il volgare già altri poeti l’avessero usato prima di lui.
Ingegnere e insieme architetto, se si considera che nel poema, a mano a mano che lo si legge, si trova descritta, con impeccabile precisione di ma per fortuna c’è anche, nella nostra epoca, tanta voglia di riscatto, quella voglia che fece intraprendere a Dante un così arduo viaggio che lo portò lassù, nel cielo empireo, dove poté godere della luminosa visione divina.
Perché anche l’uomo moderno va alla ricerca d’una redenzione che, oltre il peccato, gli faccia ritrovare, alfine, quell’età dell’oro, quell’Eden perduto cui si accennava sopra, così che possa tornare a godere dell’antica, ancestrale felicità, che è l’anticipo, sulla terra, della felicità ultraterrena.
È, poi, la Divina Commedia, anche un’opera di filosofia e scienza, spesso di difficile lettura, e, di fronte ad essa, ci si può scoraggiare, ma, una volta che se n’è compreso il significato, si Ma se, nell’architettura dell’opera, i numeri sono usati essenzialmente in funzione simbolica, in altri punti del poema Dante parla in senso strettamente scientifico, dimostrando di essere in possesso, anche in tale campo, di una sterminata cultura che lui acquisì frequentando non solo le scuole del suo periodo, ma anche coltivando gli studi da autodidatta.
Certamente fu pervaso da una profonda ansia di sapere, e lo possiamo intuire leggendo i seguenti versi dell’inferno: “Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti / ma per seguir virtute e canoscenza / (Inf. XXVI, 118-120).
Sono parole che Dante mette in bocca a Ulisse, in una potente terzina in cui esprime il suo forte desiderio di scoprire i più nascosti segreti del mondo e dell’intero universo. Per cui egli gli argomenti della scienza li affronta tutti, dall’astronomia, alla geografia, alla matematica, dimostrando di avere una competenza senza pari in qualsiasi campo dello scibile umano. Ne contiene, il poema, numerosi passi, di cui se ne riportano alcuni a mo’ d’esempio.
Nelle seguenti terzine il poeta, per parlare del bagliore di un angelo che gli offusca la vista (per la precisione è l’angelo dell’amor fraterno) ricorre alla legge fisica della riflessione della luce: “Come quando da l'acqua o da lo specchio / salta lo raggio a l'opposita parte, / salendo su per lo modo parecchio // a quel che scende, e tanto si diparte / dal cader de la pietra in igual tratta, / sì come mostra esperïenza e arte / (Pur. XV, 16-21). capovolge e inizia a risalire? Sono versi che hanno fatto molto discutere commentatori e scienziati, a iniziare da Galileo, trovandovi un chiaro riferimento alla legge della gravità.
E gli esempi, di fisica, di geometria, di matematica, di logica, come di geografia, di scienze naturali, ecc., in cui la scienza è coniugata anche a un aspetto simbolico, potrebbero continuare a lungo, ma già quelli riferiti sono sufficienti a documentare la ricchezza e la profondità della cultura di Dante. Concludo con alcune osservazioni sull’astronomia e sulla struttura contiene tutte. Perché la sua idea di spazio appartiene alla geometria euclidea (che Dante certamente conobbe), e la sua visione cosmologica rimane, come s’è detto, nell’ambito del modello aristotelico-tolemaico dell’universo.
Ma lo stesso concetto ha stimolato la mente degli scienziati, che l’hanno spiegato uscendo fuori dagli schemi di quella geometria, che è tridimensionale, e ricorrendo, con l’inclusione della nozione di tempo, a un’altra rappresentazione della spazialità, quella quadrimensionale di “iperspazio”, pur se Dante la ignorava perché è una teoria che appartiene a tempi recenti. Per cui, secondo certi matematici e astronomi di oggi, il poeta sembra anticipare pensieri e scoperte della scienza e soprattutto della moderna, e le fisica sue intuizioni sono accostabili alla teoria della relatività di Einstein. Mi limito a riferire la notizia senza fornire spiegazioni cosmologica del poema dantesco.
Va premesso che, anche se il poeta non esce fuori dalla visione tolemaica della Terra al In questi altri versi– siamo nel Primo Mobile e Beatrice chiarisce a Dante il movimento di questo cielo– il poeta ricorre alla matematica, e precisamente all’operazione algebrica delle equazioni: “Non è suo moto per altro distinto, / ma li altri son mensurati da questo, / sì come diece da mezzo e da quinto” (Par. XXVII, 115-117). centro dell’Universo, circondata com’è dalle sfere dei pianeti, delle stelle fisse, del Primo Mobile e dell’Empireo, vi aggiunge tuttavia una zona sovrastante, composta dalle nove sfere dei cori angelici che girano, man mano restringendosi, intorno a un luminosissimo punto: Dio. C’è però, in queste sfere, E ancora: in questi altri si può intravedere il calcolo delle probabilità: “Quando si parte il gioco de la zara, / colui che perde si riman dolente, / repetendo le volte, e tristo impara” (Purg. VI, 1-12).
Che dire, poi, della parte finale del canto XXXIV dell’Inferno, quando Virgilio (con Dante a lui aggrappato) discende lungo il corpo di Lucifero e, giunto “là dove la coscia / si volge appunto in sul grosso dell’anche”–ossia “il punto / al qual si traggon d’ogni parte i pesi”, in altri termini il centro della Terra– si un qualcosa di sorprendente: le sfere più piccole sono circondate e contemporaneamente circondano quelle più grandi e il punto è dentro ma include il tutto, come Dante stesso dice: “Non altrimenti il trïunfo che lude / sempre dintorno al punto che mi vinse, / parendo inchiuso da quel ch’elli ’nchiude” (Par. XXX, 11-12).
Il concetto contraddittorio, probabilità appare difficile e ma con ogni Dante se ne servì semplicemente per dire che Dio, in quanto onnipotenza, è a un tempo contenuto e contenente: è al centro di tutte le cose e contemporaneamente le in merito (non ne ho gli strumenti), rimandando chi volesse approfondire tali argomenti a tutta una vasta letteratura reperibile anche in internet: l’ho riportata perché rappresenta un’ulteriore dimostrazione utile a definire Dante un personaggio dal “multiforme ingegno”, che non finisce mai di stupire.
Personalmente noto in lui un qualcosa che va oltre l’umano, e la sua Commedia è divina anche per questo. Azzardo un’ipotesi. Che sia un essere soprannaturale il quale si è incarnato nella realtà sensibile, realizzandovi in maniera compiuta l’idea platonica che chiamerei del sublime? Oppure, per usare una terminologia più moderna, un extraterrestre che, da chissà quali lontani mondi, è venuto sulla terra a “miracol mostrare”? Ho esagerato? No. Quando si parla di Dante non si esagera: mai.
Vittorio Verducci Giurato 13' Concorso
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