Insegnare L' Anima Libera Franco Loi A Cura DI Rudy Toffanetti Primo Classificato Al Premio Speciale XIV Edizione






Quando avevo tredici anni dicevo che avrei voluto incontrare un signore anziano che mi insegnasse a scrivere poesia. Nove anni dopo, senza che me ne accorgessi, Franco Loi fu per me molto di più: i suoi discorsi di poesia non erano mai trattati di tecnica poetica, ma racconti che disegnavano una mappa della nostra interiorità. 

Quello che persuadeva e affascinava non era solo ciò che diceva o le parole che usava, ma era tutto il complesso comunicazione, sguardi, di della fatta gesti, sua di di sospensioni e di aperture improvvise — a volte si fermava, quando gli facevi una domanda, ti guardava dubbioso e poi sfoderava un sorriso e diceva con una carezza: 

“Caro…” In quell’attimo di stasi cercava di interiorizzare l’essenza di chi aveva di fronte. Mi sorpresi che dopo poche ore che mi aveva conosciuto, mi scrisse una dedica che racchiudeva in così poche sillabe tutto quello che era la mia vita a diciannove anni: “All’intelligenza di Rudy, che cerca il senso e la gioia del vivere…

” A volte mi succede di ripensare a quando è capitato che non fossimo d’accordo. Non accadeva spesso, ma quelle volte in cui io mi presentavo da lui compresso nei miei dubbi e lo incalzavo con domande insistenti, nasceva fra di noi una forma di contrasto che non si risolveva facilmente. 

Franco era determinato nelle sue posizioni, sicuro di sé e della sua profondità. “Qui sbagli” mi diceva a proposito di un mio verso che non gli piaceva “non stai seguendo veramente te stesso, ti stai facendo influenzare, ti stai tradendo”. 

E io rispondevo: “Ma no, ti giuro che ho cercato di scrivere quello che sentivo dentro di me, come dici tu, non capisco perché non ti piaccia; ho cercato di essere sincero”. Lui si irrigidiva e ribatteva subito: “Evidentemente ti sei ascoltato male!” Io mi arrendevo e fissavo sconsolato i miei versi che Franco aveva appena commentato con “Sono brutti.” Era lì che se ne accorgeva, che si fermava, mi fissava e poi come se fiorisse mi diceva: “Caro… ma tu non ti preoccupare. Tu devi ascoltare te stesso, se vuoi scrivere, se vuoi fare questo lavoro. È questo quello che conta: quello che senti. Gli altri, non li ascoltare. Non ascoltare nemmeno me. 

C’è solo quello che sente il tuo inconscio.” Ascoltare sé stessi e il proprio desiderio è la cerimonia quotidiana che Franco Loi cercò di insegnare al mondo: oltre le pastoie in cui si spende la nostra quotidianità, c’è un mistero in ognuno di noi, che vuole essere conosciuto, che si libera da tutto e in cui si realizza la nostra poesia. 

Rudy Toffanetti 

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