«Noi siamo un colloquio», diceva Hōlderlin, fatto di attese, di nostalgie, di sogni, di «febbri» di una vita che torna a se stessa, nella propria interiorità, alla ricerca di ciò che fa evolvere in impegno profondo dolore e gioia e speranza e fede per le cose, le persone, le azioni, i fatti apparentemente perduti.
Terry segue la scia dei ricordi, della vita di sua madre. L’attenzione non è rivolta alla storia esteriore che si rivela come destino ma al movimento interiore che scaturisce dalle risposte gentili e forti, dalle “virtù” di sua madre, un’anima semplice e acuta di fronte alle provocazioni della vita, alle sofferenze della guerra e alla ricostruzione, insieme a tante altre nostre mamme, del Paese nella seconda metà del ‘900.
Le inquietudini, le insicurezze, le ansie, gli affetti, le scelte, le tristezze ricostruiscono il passato capace di rivivere nel presente in modo lucido, chiaro, con disincanto nel mentre rimuove le distanze. È la cura che la memoria ha di sé consentendo alle intermittenze del cuore di entrare nella qualità originaria delle cose.
Gli occhi non hanno che da leggere questo confronto con i luoghi primigeni, le colline ordinate delle Marche da cui partono i genitori di Terry verso Roma, e le persone e le cose portano alla luce la loro parte migliore e più profonda. Non c’è altra strada che avvicini alla conoscenza di sé. Non è questa una solitudine che si nutre di memoria ma una risorsa che si fa creativa. Un modo di essere della parola, il modo migliore di accogliere l’esistenza: «Quieta diffondi pace,/pace di esistere/di accogliere tutto/nella calma domenica di febbraio./Come tua madre/come tua nonna/e tutte le tue antenate/avete accettato tutto./Con pazienza, con rassegnazione,/con resilienza./Paura di esistere/forza di resistere.». La memoria si nutre della Storia che riporta il continuum e rende visibile quel qualcosa di essenziale, di inebriante, anche quando non se ne ha piena coscienza che è la Verità, il dono di sé, l’amore nel mentre ci offre la sua testimonianza. Nel poeta urge il desiderio del ricordo.
Tutto si fa nostalgia e serena consapevolezza del tramonto che non ci è dato di lasciare. I giorni che passano sotto l’occhio sensibile ai colori, ai fiori del terrazzo, al calore delle parole sono punte di stelle che non conoscono attesa. Soltanto una visione autentica riesce a mettere a fuoco la prospettiva lontana del sacrificio e della tenerezza in questa piccola gentile figura decifrandola non certo come incompletezza in attesa di compimento ma come possibilità che è data a ciascuno di inoltrarsi nel sentiero della perfezione.
Il sentimento tragico dell’assurdità umana del secolo scorso è stato paradossalmente appannato dagli sforzi coerenti di questa generazione di uomini e donne che hanno ridato il proprio spazio e il calore al sentimento. In questa pietà popolare si è guadagnato in sensibilità che ha lasciato i suoi fiori sui figli. Ora quando la tenerezza è stretta alla sorgente nulla svuota la fronte del poeta. Una tristezza calma e paziente si apre luminosa al nuovo che entra profondo e infallibile ad accogliere l’umana esperienza per dare senso alla vita. Gentilezza, tenerezza, timidezza, saggezza, pazienza, sana accoglienza del mondo e delle cose sono le virtù che fronteggiano le regole della vita con le sue gioie e le sue ferite e sono ben raccontate da Terry. Pazienti e aperti apriamo casa a un ospite, la tristezza, che ci coglie nel nostro vivere: «Per te la casa era/la nicchia più nascosta,/il nido del nibbio/sulla roccia scoscesa/della montagna».
E la malinconia che reclama la sua sete si abbevera di speranza: «Suona senza fine/la campanella del vento/tra i rami della mimosa,/un dialogo cromatico/con la tramontana/e il cielo terso.». L’Unità poetica dona «soavità al racconto» e, scrive P. Perilli nella post fazione al libro, «in nome dei valori veri, dell’eredità di affetti semplici e assoluti, sempreverdi come certe piante sempre amate, o egualmente i fiori di cui è stata adornata la loro vita …». È la vita di Maria Santini e suo marito Rolando e con loro, la bellezza della Natura e delle stagioni: «Il giovedì precedente ero andato a ritirare tutto il corredo a casa di Maria. Ero andato con il carro lavato e lucido, trainato da buoi dalle corna ornate di fiocchi di lana rossa sgargiante, di pelli di daino per scacciare l’invidia e il malocchio.»(scrisse Rolando).
Questo libro è stato cucito con i colori dei fiori e dei veri sentimenti, con la stessa passione con cui la sarta Maria Santini cuciva gli abiti da sposa. E sul terrazzo: Bulbi di iris color indaco/blu viola … Li amavi tanto./Anche molte specie di meli/peri frutti dimenticati e rari …». Quel passaggio che chiede agli alberi la Primavera, alle zolle scomposte l’aria di aprile, porta piena luce, la tregua che lascia le api sulle margherite, è per Terry un appuntamento sacrale con l’Amore: «La mattina dopo il tutto/mi hai salutato ancora/con il piglio vitale e deciso/dei fiori-farfalla/del terrazzo, gli unici a fiorire,/iris japonica,/striati di blu e giallo accesi,/i petali sfrangiati e vezzosi,/tesi verso la luce.» Direi che non di altra sostanza è fatto l’amore e ringrazio Terry per averci fatto conoscere la splendida anima di sua madre.
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