"The Last Of Us" E Il Lavoro Culturale A Cura Di: Loredana Lipperini, Giurata XIV Edizione



Ho visto l’ultima puntata di The Last of Us, che prima di essere una serie televisiva è stato ed è uno dei videogiochi più belli, narrativamente parlando (mi verrebbe da usare il termine “letterariamente”, in effetti), che siano stati pensati. Perché in questo caso non è la trama a prevalere: il racconto sembra così familiare, anzi. Si parla di un’umanità decimata dal contagio di un fungo che trasforma uomini donne e bambini in creature rabbiose, prive di volontà e ansiose solo di contagiare a propria volta: segue la riorganizzazione del mondo, non meno violenta, da parte dei sopravvissuti, che si dividono fra autorità militari e forze ribelli, e in mezzo c’è chi sopravvive e basta, uccidendo e rubando. C’è una possibilità di speranza che è data dall’adolescente Ellie, che al contagio è immune, e dal rapporto che si sviluppa con Joel, un contrabbandiere che ha perso la figlia durante la prima fase dell’epidemia.

Non è la storia in sè a colpire, ma il modo in cui viene raccontata, nel videogioco e poi nella serie: la nostalgia per un mondo finito e per le sue vestigia, il desiderio di andare avanti anche senza immaginare un futuro, i legami che fra le macerie, si affacciano e fioriscono prepotenti. Insomma, guardate la serie e affacciatevi anche nel videogioco.

Ne scrivo anche per tornare sul lavoro culturale. Perché se ormai può ritenersi assodato e raccontato il legame fra letteratura e cinema, letteratura e serie televisive, letteratura e fumetto, mi pare che si faccia ancora fatica a riconoscere non una dignità (non serve dignità, serve curiosità) ma una potenza narrativa ai videogiochi. Eccezion fatta per Lucca Comics&Games, ovviamente, e alcune altre realtà.

Proprio a Lucca, un paio di anni fa, condividendo il firmacopie con uno youtuber, ho toccato con mano di quanto snobismo inutile sia fatto,  spesso, il mondo dei libri, che in molta parte ignora quel che avviene su YouTube e forse in misura più sorprendente su Twitch. Quello che colpisce i profani è certamente l’entità dei guadagni degli streamer e dei creator più popolari: altissimi. Un insulto, scrissero alcuni quando dopo un attacco hacker vennero rivelati alcuni compensi, che peraltro circolavano già informalmente. Un sistema calato dall’alto. Una perversione del mercato.

Non è solo questo.  Perché, e parlo in questo caso da profana, mi sembra che in molti casi l’ascesa nell’iperspazio del successo milionario venga invece dal basso e sia persino casuale. Certo che esistono i tutorial per “guadagnare su Twitch” o per “sfondare su YouTube”, ma se è per questo esistono anche i tutorial sul self-publishing e anche, in ambito più vicino al  nostro mondo, quei corsi di scrittura che ti promettono di diventare in uno schiocco di dita un autore di best-seller (non parlo dei corsi seri, ovviamente).  E mentre penso, perché ho sempre ritenuto che ci sono mondi che vanno capiti prima di demonizzarli, ricordo che anche nell’editoria tradizionale si costruiscono successi a tavolino, con la storia giusta, l’autobiografia accattivante e straziante, la giusta scelta anagrafica ( giovane o molto vecchio, per invogliare i titolisti) e una struttura del romanzo lineare.

Che a dispetto del meccanismo si facciano largo talenti puri è indiscusso. Che in virtù del meccanismo altri talenti puri rimangano sommersi è altrettanto indiscusso. Ma non esistono mondi idilliaci: esiste un mercato, in assoluto, e, che lo vogliamo o no, in quel mercato ci muoviamo e il lavoro culturale deve confrontarsi con quel mercato e, potendo, cambiarlo. Ma conoscendolo. E continuo a pensare che forse, e ripeto forse, provare a vedere di cosa si tratta prima di, o invece di, chiuderci sdegnati nel nostro autoconforto sia faccenda più saggia.

Il lavoro culturale è questo. Capire. Aprire. Immaginare.

 

Loredana Lipperini, Giurata XIV Edizione

 Giornalista e scrittrice, è una delle voci di “Fahrenheit” su Radiotre e scrive per le pagine culturali de «La Repubblica». Il suo blog Lipperatura, attivo dal 2004, è un punto di riferimento per la discussione letteraria, culturale e politica. Ha pubblicato romanzi gotici con lo pseudonimo di Lara Manni e fra l’altro i saggi Ancora dalla parte delle bambine (2007), Non è un paese per vecchie (2012), L’ho uccisa perché l’amavo con Michela Murgia (2013) e il libro per ragazzi Pupa (Rrose Sélavy, 2013).

 


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