La calda fragranza del pane
ch’usciva, ho sentito, dal forno,
e a care memorie lontane
ha fatto la mente ritorno:
di quella fragranza era adorno
il desco di casa, di buono
croccava, era un lieto contorno
per me, come un dono.
È un dolce, suadente, abbandono
che fa nel rimpianto la mente:
la casa, felice nel suono
di voci passate, ora spente,
di poco, arredata, di niente,
la casa… ma quanto fu bello
quel tempo che vissi innocente
nel vecchio castello!
Mia madre, col suo matterello
stendeva sottile la sfoglia,
d’aromi condito al fornello
quel cibo accendeva la voglia:
mia madre, a me giovane foglia
di fronte alla vita oscillante,
a entrarne indicava la soglia,
accorta insegnante.
La schiva bottega, stagnante
d’odori d’antico: al lavoro
rivedo mio padre zelante,
squillava il martello sonoro.
Giammai ricevevan ristoro
le mani consunte, callose,
scavava la fronte un decoro
di rughe pensose.
Memorie fanciulle, preziose
di lievi atmosfere rosate:
sull’ali del tempo armoniose
di sogni, chimere incantate.
Volavano l’ore beate
nei dondoli dell’altalena,
trillava di gioie eccitate
la piazza serena!
Oh, come il ricordo mi mena
l’età così bella, leggera:
mia madre chiamava per cena…
chiamava… d’arcano foriera
veniva, maliosa, la sera:
scendeva col suon di campane,
nei giochi del rubabandiera
e di cerbottane.
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