Le palpebre non riescono più a contenere le lacrime, e lei non ha la forza di trattenerle. Scivolano silenziose, ruscelli in secca fino al mento, e si suicidano verso il legno del davanzale, come se l’umidità non fosse già abbastanza. Tic. Tic.
Ha ancora il vestitino da bambola addosso, le mani sporche e le gambe doloranti. Addosso. Parola grossa. Vestito. Parola ancor più grossa. Ride di quel sorriso disperato e finto che allena da due anni ormai allo specchio, tutte le notti prima di andare a letto.
Il contrasto è inquietante, lo sa: una bambina di 15 anni vestita (pff…vestita…) da puttana che ride a sessantaquattro denti mentre il trucco nero scende mischiato alle lacrime per tutte le guance fino al mento. Le sembra di avere la barba. La sente la barba, la sua, quella di quello che le ha imparato quella parola.
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