Se la tua vita è triste e disperata
O bella bimba, chiama tu la fata
Dolce una Janas presto arriverà
Per riportarti la serenità!
« Quanto vorrei sentirtela cantare ancora, nonna mia! ».
Era la filastrocca che mia nonna, una vecchina sarda dai berberi occhi azzurri, mi cantava cullandomi tra le sue braccia quando faticavo a prendere sonno.
« Sssstt, però, quando arriva, non devi disturbarla, devi stare in silenzio e aspettare che sia lei a cercarti ».
Le Janas, queste piccole creature di luce hanno sempre accompagnato la mia infanzia, testimoni di un mondo, dove pensavo anche nonna fosse poi andata, dopo averci lasciato.
Il mio nome è Maria Safìa. Mi dissero che sarebbe dovuto essere Maria Sofia, ma l’impiegato all’anagrafe di Senes, dove sono nata, tramutò una “o” in una “a”. Forse un ignaro strumento, quell’oscuro ometto, messo lì da chissachì affinché si compisse il destino.
Ma quel mio nome usurpato mi dava vibrazioni speciali, era come un forziere segreto: tutti mi chiamavano Maria, ma io sapevo di essere Safìa. E quando mi chiedevano da dove venissi: “Bou Sidi” rispondevo. Sapevo che era un posto lontano, non c’ero mai stata, ma sapevo che esisteva.
Avevo dodici anni quando lasciammo la Sardegna per una città del nord dove ho vissuto la mia vita. Una vita pesante come uno scafandro, subìta di giorno per tornare la sera al mio letto sfatto e deserto, una vita che si limitava ad aggiungersi anni, senza la mia partecipazione. Gli ultimi tempi un brutto sogno veniva spesso a turbare il mio riposo: vedevo il mio letto, ma capivo di non essere sveglia, tentavo affannosamente di riappropriarmi di me, mi dibattevo per liberarmi dagli artigli di quei mostri pronti a ghermirmi. Intuivo l’inutilità dei miei sforzi, il mio corpo era pesante, mi uscivano solo gemiti e, le labbra serrate, mi affannavo alla ricerca di qualcuno che mi desse un aiuto… un abbraccio.
Comments
Post a Comment