Questa società del XXI secolo così ipertecnologica da apparire preda di un “carpe diem” sfrenato e dove
sempre più spesso la realtà supera la fantasia, o quanto meno drammaticamente la eguaglia, diviene
senz’altro lecito domandarsi se sia ancora possibile fare teatro. O per lo meno con le caratteristiche che le
sono proprie e che sin qui lo hanno contraddistinto. E, aggiungerei, se sì in che modo?
Dare con estrema certezza una risposta a questo dubbio quasi “amletico” non sembra possibile. Allo
stesso tempo reca in sé l’ingrato e arduo compito di stimolare una riflessione, una idea, una potenziale
soluzione. Indubbiamente nel corso dei secoli il teatro ha avuto una considerevole evoluzione sia per
quanto concerne le tematiche affrontate dai vari commediografi e drammaturghi che nella sua “scrittura”
se consideriamo, ad esempio, il progressivo disancoraggio dai “dogmi” aristotelici dell’unità di tempo, di
luogo e di azione.
La sempre maggiore invadenza della Intelligenza artificiale, però, conosciuta anche come IA, è di questi
giorni il lancio da parte di una società cinese di una forma di IA in grado di “comprendere” con sempre
maggiore efficacia, porta a domandarsi se in un futuro nemmeno tanto lontano, se non già da questo
presente, sul palcoscenico non troveremo più a recitare attori in carne e ossa, ma uomini e donne in tutto e
per tutto creati dalla IA su copioni a loro volta scritti da un programma informatico ultra intelligente. Quindi
tutto è compito? I futuri discendenti di Pirandello, Beckett, Shakespeare saranno dei sistemi informatici
e non più esseri umani? È innegabile il fascino di questa prospettiva che mi viene da paragonare per certi
aspetti ai ragazzi degli anni ‘60 incantanti davanti ai televisori dinanzi alle avventure ai confini del cosmo
degli equipaggi di “Star Trek” o “Spazio 1999”. L’altra faccia della medaglia è rappresentata dai più che
giustificati timori. “In medio stat virtus” sentenziavano gli antichi Romani. E trovare un punto di equilibrio
è la vera sfida da cogliere. Personalmente, e con una sana dose di romanticismo lecito per uno come me
nato alla fine degli anni ‘70 del XX secolo, sono convinto che per quanto l’Intelligenza artificiale continuerà
a progredire e migliorarsi non riuscirà a raggiungere la “complessità umana” che ci contraddistingue con il
suo mix di esaltazioni e sconforti, pregi e difetti, santità e peccato. E tutto ciò è e rimarrà il teatro della vita,
la sceneggiatura che portiamo in scena ogni giorno da quando ci svegliamo a quando ci addormentiamo, la
“Commedia umana” come la definì nell’Ottocento il romanziere francese Honorè De Balzac e che nessuna
macchina per quanto sofisticata, riuscirà veramente a replicare. Dovessimo, quindi, riassumere, in una
frase quanto detto sarebbe: “La vita è teatro e il teatro è vita”. Inscindibilmente.
STEFANO BALDINU
GIURATO DEL 16’ CONCORSO
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