La Lingua Doppia Della Poesia (Umberto Fiori)




La poesia in dialetto ha una lunga e gloriosa tradizione nella nostra letteratura, da Carlo Porta a Giuseppe Gioachino Belli, da Salvatore Di Giacomo a Giacomo Noventa. Negli anni ’70 e ’80 del Novecento si è assistito a una sua nuova fioritura con autori come Franco Loi, Raffaello Baldini, Franco Scataglini e altri. Anche allora però (o proprio allora) l’uso del dialetto faceva storcere il naso a qualcuno: il sospetto era che questa scelta costituisse una fuga all’indietro, una scorciatoia, un lasciapassare per dire ciò che in lingua non si poteva più dire. Nella sua Introduzione a Stròlegh di Franco Loi (1975), Franco Fortini avvertiva senza troppi complimenti: “Ho un pregiudizio sulla poesia dialettale. Mi nasce diffidenza per la illusoria immediatezza offerta dall’abbandono al suo scivolo struggente, emozionante; come per dire ‘basta’ ad altro, ad altra fatica”.

Per un certo periodo, grazie al crescente interesse della critica, la poesia in dialetto arrivò a costituire in Italia quasi una moda, anche come reazione ai salamelecchi di molta produzione in lingua. Passato il momento di gloria ha continuato il suo corso, ma un po’ più in ombra.

Fonte: DoppioZero

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