80 anni dalla morte di Bice Piacentini


Accostarsi alla figura e alle opere di Beatrice (Bice) Piacentini Rinaldi è un qualcosa d'affrontare con un misto di rispetto, di ammirazione e gratitudine.

Rispetto perché il suo nome è famosissimo e sono davvero pochi coloro che non lo conoscono in ambito locale: la prima poetessa sambenedettese, colei che ha dato onore al dialetto della città rivierasca e che l' ha fatto assurgere a livello di vera e propria lingua poetica.

Ammirazione,  perché le sue opere, soprattutto sonetti, sono tecnicamente impeccabili e testimoniano la sua arte e la sua preparazione stilistica.

Gratitudine, perché nelle sue poesie dell'epoca, usanze, costumi, ci ritroviamo veri e propri quadri di notevole valore antropologico: senza di lei questo mondo sarebbe svanito nel nulla mentre invece è ancora così vivido attraverso le sue opere.

Di estrazione borghese, moglie dell' avvocato Carlo, Bice Piacentini fa parte di quel vasto movimento di risveglio culturale che si genera fra la fine dell'ottocento e i primi del novecento. Prova ne sia la mole di libri della sua biblioteca(arriva a contare ben 7000 volumi) molti dei quali in lingua francese.

Anche le Marche stanno vivendo il loro momento di gloria. Si comincia ad affacciare la consapevolezza di unicità non solo territoriale ma anche per cultura favorita dai riflettori della memorabile Esposizione di Macerata del 1905 che rappresenta il palcoscenico ideale permettere in mostra le sue eccellenze, i suoi personaggi illustri, gli artisti, i poeti e scrittori oltre che presentare il profilo produttivo della Regione alle soglie del nuovo secolo.

Il dialetto, dopo il 1860, inizia ad essere accolto da diversi giornali di provincia finché non prendeletteralmente il sopravvento e si pagine. ritrova ad occupare sempre più.

La mostra folkloristico-dialettale nella Esposizione di Macerata del 1905 mette in vista con saggi, articoli, e recite molti poeti fino ad allora quasi ignorati e sconosciuti ai più, dando impulso alla produzione dialettale e quasi disciplinandola.

Sempre tale mostra promuove la compilazione di studi dialettali e grammatichette accrescendo il pubblico favore per la poesia dialettale attraverso alcune riviste prima fra tutte l’Esposizione Marchigiana.Nelle sue pagine vengono ospitati versi, prose regionali, si svolgono garepoetiche, si prepararono convegni e incoraggiati tutti i poeti.

Bice Piacentini riceve, in occasione di tale Manifestazione, un importante riconoscimento e sulle pagine della rivista nata parallelamenteall'Esposizione, la poetessa pubblica alcune sue poesie fra le quali “Je vujebbè è fernite!” e “Quànne passe la figlie de…”

Sono anni fecondi, si fa a gara nello scrivere e nel pubblicare, almeno fino alla grande guerra ma anche dopo,seppur più stancamente, il fervore perla poesia dialettale non diminuisce.

La raccolta della poetessa sambenedettese “Sonetti Marchigiani”,uscita nel 1926 a Roma, riscuote un più che lusinghiero successo.

In quel piccolo borgo di provincia che è San Benedetto all'epoca, così lontano dai flussi culturali nazionali ed europei, la Piacentini conduce una tranquillavita domestica pur essendo la sua esistenza funestata da diversi lutti familiari.

La poetessa vive fino alla veneranda età di ottantacinque anni (si spegnerà nel 1942) ma perde nell'arco degli anni il marito nel 1911, il fratello Ernesto nel 1912, il figlio Giuseppe nel 1935.

Le sue lunghe giornate trascorrono

spesso in compagnia delle donne semplici ed umili del popolo e non è difficile immaginarla mentre raccogliele loro confessioni, i loro sfoghi su un marito che la fa da padrone in casa, su un amore contrastato.

Il suo è uno sguardo dalla partefemminile tanto da essere da molti identificata come una femminista ante-litteram.

Come scrive nell'introduzione ai suoi “Sonetti Marchigiani”, ella è spinta soprattutto “dall'amore infinito che nutro per la terra dove nacqui”giungendo a dire di San Benedetto che”di tutti i paesi a me pare il più bello”.

La scelta che la caratterizza però è quella della lingua dialettale.

Eppure trascorre parte della sua vita a Roma, soprattutto dopo il matrimonio avvenuto nel 1877, dove entra in contatto e si forma con intellettuali e circoli culturali allora molto in voga ed influenzati dai vari D’annunzio, Belli,

Pascarella, Trilussa, Verga e Capuana.

La Piacentini vede in questa scelta non una forma snobistica derivante dalla sua posizione di appartenente ad una classe superiore, né tanto meno un atto di condiscendenza verso un genere che va affermandosi in queglianni.

Nel dialetto, in quella lingua che ad un primo approccio può apparire aspra e non facilmente comprensibile, la poetessa trova la forma migliore perdare vita a quel mondo che le gravitaattorno, nel perseguimento di una sorta di canone verista.

Il dialetto è per lei il modo migliore peresaltare le sue figure principalmente femminili, per dare loro un'essenza difficilmente eguagliabile con il ricorso al linguaggio più erudito.

A lei quindi il merito di aver fatto assurgere la lingua parlata, il dialetto, a forma espressiva piena e tutte le sue opere stanno a testimoniarcelo.

Con modestia, rivolgendosi al lettore dei suoi sonetti afferma che essi “non hanno pretese d’arte, ma forse sapranno parlare a qualche cuore”

Giuseppe Gabrielli Segretario Dell' Associazione Culturale Pelasgo 968.


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