"11 Febbraio, La Valle E I’Aurora" Di: Govannini Luciano (Primo Classificato) Sezione Poesia Inedita In Lingua Italiana XVI Edizione



Sylvia, me ne vado
e lo faccio senza far rumore
come fossi nube o polline di maggio,
una goccia di rugiada,
la neve o un Raggio.

Me ne vado
perché son satura di pioggia fino al cuore,
lascio al vento i miei sogni,
le mie ottave e il mio tremore.

Me ne vado,
volo via da questo mondo
che si esprime solo in prosa,
e diverrò eterna come un verso,
come una rosa.

Sylvia presto saremo intrecciate
come fili di cotone
e ogni nostro sentire si farà parola,
tu sarai valle ed io l’aurora.
“Perdonatemi, perdonatemi,
perdonatemi,
vi amo”.


Recensione Critica A Cura Di: Giovanni D'Alessandro (Presidente Di Giuria Tecnica Sezione Poesia Inedita In Lingua Italiana)



La poesia trae spunto dal suicidio di due poetesse, Sylvia Plath e Amelia Rosselli (quest’ultima traduttrice e critico letterario della prima), avvenuto nello stesso giorno, l’11 febbraio, a 33 anni di distanza: Sylvia Plath si suicidò a Londra l’11 febbraio 1963 all’età di 30 anni asfissiandosi col gas, Amelia Rosselli a Roma l’11 febbraio 1996 all’età di 66 anni, gettandosi dalla finestra del suo appartamento nel rione Parione di Roma, dove una lapide la ricorda. 

Erano entrambe autrici (la Rosselli anche musicista ed etnomusicologa) affermate a livello internazionale, ma non in grado di arginare il male di vivere e la depressione che le consumavano da dentro e le avevano orientate a compiere il gesto estremo. 

Mai si è saputo se la Rosselli avesse in mente di togliersi la vita ricalcando la stessa data della Plath, ma da tale misterioso interrogativo trae spunto Luciano Giovannini per il suo breve componimento articolato in quattro strofe e in un esergo, immaginando un addio della Rosselli all’altra poetessa cui “si sentiva intellettualmente ed emotivamente legata”, come recita la citazione iniziale dell’autore. E lo fa animando questo addio con parole di rara autenticità e commozione “Sylvia, me ne vado/ e lo faccio senza far rumore/ come fossi nube o polline di maggio,/ o goccia di rugiada/ o la neve o un raggio./ Me ne vado/ perché son satura di pioggia fino al cuore/ lascio al vento i miei sogni/ le mie ottave e il mio tremore” Non rifugge dalla rima Giovannini e le finali in rima “maggio”/ “raggio” o “cuore”/ “tremore” denotano una ricerca della musicalità che si riscontra anche nelle strofe successive. 

Ma è la sincerità dell’addio di una poetessa all’altra a colpire maggiormente: “Me ne vado,/ volo via da questo mondo/ che si esprime solo in prosa/ e diverrò eterna come un verso/ come una rosa”. C’è qui tutta la polemica della Rosselli contro un mondo capace di esprimersi solo rifuggendo dalla poesia, messa al bando: contro un mondo che ha deciso si esprimersi solo “in prosa”, secondo la peggiore accezione del termine. E’ vero, come è vero che la suggestione del doppio suicidio consumato nello stesso giorno dalle due poetesse - l’una quasi “intitolando” all’altra la propria definitiva scelta – rivesta di un alone magico entrambi gli eventi. 

Ma cosa sarebbe la poesia se non ci fosse un poeta a rammentare queste coincidenze, così drammatiche e cariche di commozione? Nel farlo, la voce di Giovannini rimane limpida e appassionata e non si lascia attrarre dai gorghi della erudizione, per due eventi divenuti, pur indipendentemente da ogni volontà, così letterarii, né ha pretesa di chiarire se la seconda morte sia stata programmata in successione alla prima. E’ solo voce, quella di Giovannini - affranta ma anche accalorata, appassionata - che si aggiunge alle altre, senza pretesa di chiosare i due suicidii, immaginando il biglietto di addio che fa scrivere dalla Rosselli alla Plath. 

E’ dunque un tributo colto ma non erudito, il suo, sebbene tra i versi delle quattro strofe iniziali vi siano riferimenti a temi presenti nella produzione della Plath (come il tema anglosassone, anzi tutto inglese, da Chaucer a Eliot, della rigenerazione con la“spring rain”e la primavera) o della Rosselli (come la rosa della poesia che si contrappone alla aridità di un mondo incapace di produrre altro che brutta prosa; incapace di dar parole e colore a ciò che avverte il cuore). 

 Lo conferma la strofa finale “Sylvia presto saremo intrecciate/ come fili di cotone/ e ogni nostro sentire si farà parola, tu sarai valle ed io l’aurora”. Merita dunque lode “11 febbraio” di Luciano Giovannini per la originalità di ideazione del soggetto (il messaggio di addio) e per la drammaticità che lo percorre, con la triplice invocazione di perdono, quale Amalia Rosselli realmente lasciò scritta ai suoi cari e che diventano esergo in finale di poesia e ne penetrano il testo “Perdonatemi, perdonatemi, / perdonatemi, vi amo”.L’aurora si è levata sulla biblica valle della morte, portando gocce di rugiada e fecondante polline di maggio. 

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