“La sfortuna viene dalla bocca e ci rovina, la fortuna viene dal cuore e ci fa onore” 1. Questa affermazione, contenuta in una lettera scritta nel XIII secolo dal monaco buddista Nichiren Daishonin, è una sorgente di varie considerazioni a proposito dell’utilizzo della parola. Innanzitutto, ci segnala che le parole che adoperiamo non sono statiche, assolute, neutre o impermanenti. Sono prodotte da precise scelte e costituiscono vere e proprie azioni (cause) che si incidono nella vita di chi le pensa, pronuncia o scrive. Inoltre, originano un effetto corrispondente (positivo o negativo) nella vita di chi le ascolta o le legge – in pratica, producono felicità o sofferenza.
Questo non è altro che il funzionamento della legge di causa ed effetto nella nostra vita di scrittori, lettori, oratori: il karma della parola. Secondo il concetto di karma (adattamento di un termine sanscrito traducibile come “azione”), le azioni compiute nel passato danno forma alla realtà del presente, le azioni del presente determineranno il futuro. Se assumiamo questa prospettiva, emerge nitidamente la necessità di essere molto attenti e scrupolosi nelle nostre azioni (pensieri, parole e fatti) del presente, dato che sono queste che determineranno il nostro futuro e quello dell’umanità.
Il nodo infinito, uno dei simboli del karma, che rappresenta l’interconnessione perenne tra cause ed effetti. Nichiren sta affermando che, poiché la parola è una scelta, essa ci conduce a una responsabilità: in quanto autori siamo responsabili di come la utilizziamo; in qualità di fruitori siamo invece in una posizione attiva e creativa, quella parte imprescindibile del testo che ha il potere di determinare il significato e il valore delle parole lette.
Lo scrittore è solo una parte della triade autore/opera/fruitore: l’opera la fa anche chi la osserva, la legge, l’ascolta. I lettori sono quindi sempre inclusi – e a pieno diritto - nel testo. In questa interazione tra autore, testo e lettore è lecito chiedersi quali parole vengono utilizzate e come? Poiché ognuno è libero di esprimersi in modo unico e personale, ne consegue che ciò che conta non è tanto la parola in sé quanto, più profondamente, l’intenzione o direzione del cuore che c’è dietro alla parola.
A questo riguardo, la citazione di Nichiren fornisce un’altra indicazione: sono le parole che scaturiscono dall’animo umano quelle che hanno il potere di incoraggiare e ispirare la nostra vita, di portare speranza, coraggio, saggezza, cultura e pace all’umanità. Il teologo Vito Mancuso individua il luogo provenienza di questo potere taumaturgico della parola: il silenzio interiore. “Noi siamo le nostre parole. La qualità umana del nostro essere dipende dalle parole che diciamo e dallo stile con cui le proferiamo. La parola è responsabile se proviene dal silenzio, perché solo così possiamo percepire la domanda di cura che il mondo ci pone. Il silenzio conferisce profondità alla parola. La parola è il fiore, il silenzio è il terreno che l'ha generata”.
Queste citazioni rappresentano le premesse che hanno guidato la mia scelta riguardo al metodo di valutazione nel leggere i racconti brevi presentati nel 2025: entrambe hanno origine da una visione umanistica della parola, che mette al centro della vita l’uomo come artefice della propria vita e del proprio ambiente, che non ha paura del presente e del futuro e non mitizza il passato.
Entrambe presuppongono un atteggiamento attivo e dinamico, che cerca una risposta allo scopo e al significato della vita. Se il senso e lo scopo della nostra esistenza in questo mondo – tema centrale di filosofia, psicologia, religione, nonché argomento ricorrente in letteratura, poesia e forme espressive in generale – può essere definito in senso esteso la felicità, è anche vero che il semplice soddisfacimento dei desideri conduce solo a una felicità relativa, dipendente e influenzata da eventi esterni: non è prodotto esclusivo dei nostri sforzi e delle nostre capacità, non è controllabile.
La felicità assoluta, d’altra parte, è… un lavoraccio. Oscar Wilde scrive: “Lo scopo della vita è l’autosviluppo. Sviluppare pienamente la nostra individualità, ecco la missione che ciascuno di noi deve compiere”.
Parliamone, allora, di questa felicità assoluta. Diciamo che è una ricerca personale e interiore di interconnessione tra individuo e ambiente che non finisce fino all’ultimo istante di vita. Che non è un raggiungimento ma un percorso, una direzione, un orientamento che di continuo la parte più grande di noi stessi cerca e trova nel flusso ininterrotto della vita. La nostra esistenza, osservata da questo punto di vista, non è che il luogo in cui manifestare lo stato vitale più alto possibile, e le difficoltà non sono che espedienti per aiutarci a forgiarlo, momento per momento: occasioni che la vita ci presenta di volta in volta per crescere e, allo stesso tempo, costituire un esempio per chi ci circonda.
Se non affrontassimo ostacoli, in fin dei conti, non potremmo conseguire quello stato vitale supremo che ci permette di pilotare la barca della nostra esistenza nel mare burrascoso della sofferenza.
Lo stato vitale di felicità assoluta rende liberi di sentirci pieni di gioia e di piacere nel vivere (e nel morire) in mezzo alle difficoltà - come un surfista che si trova perfettamente a suo agio in mezzo alle impressionanti ondate dell’oceano perché ha trasformato la paura in gioia e questo gli permette di godere pienamente di marosi che terrorizzerebbero molte persone. Si può asserire a questo punto che lo scopo della vita sia quello di trovare dentro di sé e manifestare il massimo stato vitale, e che questo sia l’unico processo per raggiungere la felicità assoluta - un impegno che richiede una pratica assidua e diligente. In fondo, il funzionamento della vita è simile al decollo di un aereo: per spiccare il volo è necessario un vento contrario, per volare in alto abbiamo bisogno delle difficoltà.
C'è un detto in Thailandia: “La felicità falsa o illusoria rende le persone arroganti e presuntuose. La vera felicità riempie le persone di gioia, saggezza e compassione”. È un concetto estremamente semplice, estremamente profondo. La falsa felicità è una felicità superficiale, che riguarda l'apparenza esteriore. La vera felicità, invece, è una felicità che sgorga dall'interno, dalla parte più profonda del nostro essere: è il manifestarsi della nostra parte migliore, connessa all’intero universo.
La felicità autentica nasce dal desiderio di diventare una persona migliore, ovvero dal compiere la propria rivoluzione umana. Stabilità, pace o felicità autentiche nel mondo non potranno esistere se non si inizia a ricercare la felicità assoluta attraverso la rivoluzione umana.
Aggiungo che chi è riuscito, anche solo una volta, a trasformare le violente ondate della vita in piacere - il veleno in medicina o le difficoltà in missione - diventa consapevole di essere in grado di farlo sempre, di possedere il potere sfidare le proprie paure, debolezze e oscurità e di dimostrare presenza di spirito davanti a qualsiasi difficoltà.
La felicità assoluta ha a che fare con questa capacità di sfidarsi ogni volta, in ogni istante. E la vittoria o la sconfitta in questa sfida dipendono esclusivamente da noi stessi, dall’atteggiamento con cui percepiamo, affrontiamo e rispondiamo alle difficoltà, della vita. Allora ogni problema che incontriamo non è più esterno (la difficoltà, la complicazione che mi fa tanto soffrire) ma interiore (come sto affrontando la situazione).
Non è la presenza del problema nella nostra vita a essere negativa, ma è la ragione per cui appaiono le difficoltà, la nostra debolezza intrinseca a cui permettiamo di sovrastare la nostra parte forte: quella è la sconfitta. Tornando ai racconti, si può affermare che il tema condiviso da tutti sia incentrato proprio sulle relazioni (con persone, animali, ambiente, passato/presente/futuro), e che la tendenza a riguardo è quella della critica non costruttiva: la colpa della nostra sofferenza e del nostro disagio è degli altri o degli eventi.
Spesso mancano l’intenzione di prendersi la responsabilità di quello che succede e lo sforzo di cambiare quella realtà che tanto viene disprezzata. Utilizzare le parole in questa modalità denota una posizione passiva rispetto alla vita e poco coraggio di mettersi in gioco in prima persona: più comodo restare in attesa che siano gli altri a fare lo sforzo di agire per cambiare il mondo.
All’interno del corpus dei racconti, la tendenza a condannare gli altri e la passività prevalgono ampiamente su un’apertura della mente e del cuore che richiederebbe prima di tutto una sospensione del giudizio, e poi un impegno personale per poter trasformare la realtà attraverso una trasformazione interiore personale. Alcuni autori, tuttavia, sono riusciti a utilizzare le parole per descrivere un cambiamento essenziale: quello dello stato vitale, dell’atteggiamento personale, del fulcro mentale dell’individuo.
Questi pochi – a mio avviso illuminati - descrivono l’unica rivoluzione in grado di portare cambiamenti sostanziali alla realtà: la “rivoluzione umana” individuale e senza spargimento di sangue che Daisaku Ikeda (filosofo, scrittore, educatore e costruttore di pace giapponese) descrive in questo modo: “La rivoluzione umana di un singolo individuo contribuirà al cambiamento nel destino di una nazione e condurrà infine a un cambiamento nel destino di tutta l’umanità”.
La trasformazione interiore radicale di cui parla Ikeda amplia la nostra comprensione di cosa sia una vita di qualità, in cui si hanno buone relazioni con le persone e l’ambiente (in ciò è direttamente collegata all’obiettivo di un futuro sostenibile del nostro pianeta e determinerà il destino dell’umanità).
Inoltre, rappresenta un potenziale innato in ogni essere umano, a portata di mano in ogni istante, poiché ogni singolo istante di vita contiene illimitate possibilità e potenzialità di cui siamo perfettamente dotati, pur se inconsapevoli.
Ognuno di noi, credo, ha sperimentato nella propria vita momenti in cui – costretti generalmente da eventi drammatici – abbiamo tirato fuori energie che non sapevamo di possedere, abilità finora nascoste, poteri a noi stessi sconosciuti… Se siamo riusciti a manifestare tutto ciò sotto pressione, allora è lecito prendere atto che tutti abbiamo in ogni istante risorse che scegliamo di non utilizzare. La scienza ci conforta in questa convinzione, dimostrando quanto poche capacità normalmente utilizziamo nella nostra vita.
Vivere correttamente significa riuscire a mantenere mente e cuore sempre orientati verso le nostre massime potenzialità e sforzarsi di manifestarle nella nostra vita, costantemente. A grandi linee, i racconti manifestano tre tipi di atteggiamento di fronte alla realtà:
.sguardo rivolto al passato ritenuto idilliaco (implica un giudizio negativo sul presente e una fuga dalla realtà) – questa è una prospettiva ristretta, miope, falsata dai sentimenti e dalle emozioni; critica passiva e distruttiva verso il presente (implica una tendenza a distruggere senza costruire, rappresenta un altro modo per evitare responsabilità e impegno personali) - anche questa è una visione limitata dell’essere umano; inclusione di passato, presente e futuro nella propria prospettiva (con la convinzione che siamo noi stessi i protagonisti della nostra vita nel momento presente attraverso le nostre scelte e decisioni, per quanto apparentemente insignificanti) - questa prospettiva aperta e ampia è in grado di fare una differenza dentro noi stessi e di conseguenza anche nel nostro ambiente.
Nella valutazione dei testi ho privilegiato il terzo t ipo di atteggiamento non solo perché ritengo che sia originato da una comprensione più profonda della realtà e del funzionamento della vita, ma anche perché dà potere all’essere umano di esprimere e manifestare le sue massime facoltà in ogni circostanza, soprattutto quando si tratta di affrontare i problemi e le scelte di cui è fatta l’esistenza con la massima responsabilità, coraggio, speranza, lungimiranza e saggezza possibili. È solo questo modo di vivere che ci mette in grado di ispirare profondamente chi ci circonda e ci osserva.
Ritengo che la differenza tra i tre atteggiamenti di vita individuati nei racconti racchiuda l’eterno dilemma in cui ci troviamo in quanto esseri umani di fronte a qualsiasi fenomeno: seguire la propria parte oscura, quella che sfrutta ogni possibile scusa o stratagemma per evitare di mettersi davvero in gioco (significa fare vincere la paura, la pigrizia, la rabbia, l’avidità, la stupidità, l’animalità che sono in noi) oppure quella luminosa che porta - attraverso un grande sforzo su noi stessi - a crescere e diventare una persona di valore utilizzando le proprie migliori capacità di esseri umani.
Vincere la battaglia interiore fra la parte debole e quella forte non riguarda mai solo la nostra singola vita: è il nucleo della trasformazione della società intera, il fattore cruciale per la vittoria dell’umanità. Due opere in particolare esplorano questo tema esplicitamente.
Il racconto Il mostro e l’altruista presenta la relazione e la lotta interiore tra parte oscura e parte illuminata del protagonista, tra passato, presente e futuro. Anche il racconto Paura di sporcarsi esemplifica in modo brillante la lotta intima e le scelte che siamo chiamati a compiere in ogni istante davanti a qualsiasi vicenda. Il racconto inizia con un comportamento (ovvero una causa interna) di grande disarmonia e chiusura da parte del protagonista: fretta, mente offuscata da pensieri estranei al presente, chiusura al mondo che lo circonda. L'effetto di tale disarmonia è una serie di ostacoli e disavventure che sembrano ritardare e impedire il suo importante appuntamento di lavoro.
Le difficoltà che disseminano il percorso del protagonista hanno alla lunga un esito molto più profondo: quello di indurlo a cambiare stato vitale interiore e far emergere il suo lato aperto e in armonia con l'ambiente circostante. Entrambi gli atteggiamenti (o cause interne) erano presenti interiormente nel protagonista fin dall’inizio: manifestare l’uno o l’altro è la scelta fondamentale che condiziona il suo modo di osservare se stesso e il mondo, e quindi di interagire con esso.
L’istante in cui il cambiamento interiore avviene coincide con l’apertura del protagonista alla realtà che lo circonda; l'effetto di tale cambiamento interiore è quello di evidenziare l'unicità fondamentale esistente tra l’essere umano e il suo ambiente. E quando l’essere umano è in profonda armonia con il suo ambiente, i "miracoli" avvengono in maniera naturale: l’ambiente risponde.
Aprire la nostra vita è il passo fondamentale per riuscire a tirare fuori il meglio di noi stessi. Solo nel momento in cui si esce dal nostro piccolo io e ci si connette con il grande io il nostro potere di comuni esseri umani può emergere in tutta la sua grandezza e purezza, e fortuna e benefici appaiono con la stessa naturalezza con cui maturano i frutti sugli alberi. È innegabile che la nostra vita interagisce profondamente con quella delle persone e dell’ambiente circostanti. La nostra apertura o chiusura, il nostro impegno o la nostra passività verso l’ambiente e la comunità creano continuamente effetti: sono di ispirazione e di modello (positivo o negativo) per chi ci circonda e sono in grado di indirizzare il mondo verso un miglioramento oppure farlo sprofondare nell’autodistruzione.
Anche le parole che utilizziamo, possono creare effetti positivi solo quando non sono solo teoria, ma quando sono congiunte alla responsabilità e all’azione; servono quando io stessa mi alzo da sola e inizio il primo passo della maratona. È questo primo passo da intraprendere per realizzare la trasformazione che costituisce l’incipit di ogni grande opera, la causa dei grandi effetti inimmaginabili di ogni “rivoluzione umana”.
La “rivoluzione umana” individuale si attua solamente nell’istante e nella misura in cui apro la mia vita, abbraccio gli altri e includo l’ambiente che mi circonda nel mio piccolo io; è questo che ci dà la forza vitale e il potere di affrontare la nostra vita quotidiana creando valore per noi stessi e per gli altri. In questo senso, il film d’animazione Flow (oscar 2025, a sorpresa e meritatissimo) costituisce – e senza utilizzare una singola parola - un perfetto manuale di vita: il gatto nero osserva la realtà ad occhi spalancati e agisce per affrontare le sue paure e i suoi limiti insieme agli altri.
Dopo tutto, chi sono i vincitori assoluti nella vita se non coloro che si impegnano duramente e trionfano sulle difficoltà? 1 Raccolta degli scritti di Nichiren Daishonin, Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, Firenze, 2008, vol. 1, pag. 1008). 2 Parole, parole, parole (#Vitomancuso). 3 Oscar Wilde, Aforismi, Roma, Newton Compton, 2011, pag. 87 4 Daisaku Ikeda, prefazione al romanzo La rivoluzione Umana, Esperia Edizioni, Peschiera Borromeo (MI), 2002.
A Cura Di: Valentina Olivieri, Giurata Della XVI Edizioni
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