IL VOLTO DELL’AMORE (Premio Narratore Emergente)

V Edizione 2014

Racconto Breve 

 di PAOLA MARRANCONE (Teramo) 

Cos’è l’amore? Quante volte ci siamo posti questa domanda e la risposta non ci è stata data che in maniera approssimativa, superficiale e in esaustiva! E la spiegazione, anziché chiarirci le idee, solitamente ce le confonde ancora di più; per cui diventa anche difficile dare un volto chiaro e definito all’amore, perlomeno per come lo intendiamo noi (o vorremmo intenderlo).
Ma cos’è davvero l’amore? È solo quel moto del cuore che ti balla in petto, che ti mette euforia ed angoscia insieme, che ti trasporta in paradiso, per poi precipitarti all’inferno per un dubbio, un dispetto, una gelosia improvvisa?
Sì, certo: è questo. Ma non solo. A volte è anche sconsideratezza, irrazionalità e, perché no?, perfino un pizzico di follia, senza la quale ultima neanche si potrebbe parlare di Amore: intendiamo, con a A maiuscola. Fermo restando che neppure questi elementi possono dare un volto, o una spiegazione esauriente dell’amore.

Certamente quella componente di sconsideratezza, di irrazionalità ed anche di follia, furono gli ingredienti della storia che narriamo: che è una storia vera, accaduta ad una ragazza che sognava e cercava l’Amore, quello con la A maiuscola.

Ambra aveva da poco compiuto i diciotto anni: era andata alla festa di compleanno di un’amica, Arianna. Eccetto questa, peraltro impegnata a fare gli onori di casa a tutti i convenuti, al ricevimento Ambra non trovò altri amici, per cui si trovò subito un po’ spaesata e quasi fuori posto, rammaricata abbastanza perfino di essere venuta.

Ma ecco, come materializzato dal nulla, al suo fianco apparire un giovanotto, forse non bellissimo, ma dallo sguardo magnetico e con aria sicura e quasi strafottente.

« Ciao! – Le disse senza troppi convenevoli: e tendendole la mano, proseguì: - Piacere di fare la tua conoscenza: io mi chiamo Roby, per gli amici; Roberto all’anagrafe. »

Ambra aveva sobbalzato, ma istintivamente aveva teso a sua volta la mano e debolmente aveva risposto: « Piacere; io mi chiamo Ambra. »

« Ambra?!... – Aveva sorriso, quindi aveva aggiunto: - Era tua madre o tuo padre che guardava quel famoso programma su “Canale 5”, per cui il 158

nome Ambra è diventato così noto? Prima nessuno metteva questo nome!»
« Veramente – rispose debolmente la ragazza – quando nel 1992 è iniziata quella trasmissione, che se ricordo bene si chiamava “Non è la RAI”, io ero già nata. La verità è che a mia madre piaceva molto leggere i romanzi e in uno di questi aveva trovato che la protagonista si chiamava proprio così: evidentemente il personaggio le era rimasto talmente impresso, che pensò di metterlo a me quando sono nata. Perlomeno è questa la spiegazione che io ho avuto. »

Lui aveva aggrottato la fronte; poi aveva annuito, aggiungendo: « In ogni caso è un bel nome: ti si addice. E tua madre ha avuto un’ottima intuizione a sceglierlo tra i tanti, esotici e banali, che si sentono in giro. »

Sicuro e strafottente il ragazzo, pensò Ambra. Già!, lui non si allontanò più da lei: chissà, forse aveva intuito che si trovava un po’ isolata dal resto della compagnia, per cui ritenne corretto starle vicino e farla sentire a suo agio. Infatti le fece alcune domande, del tipo: di dove sei?, che fai nella vita?, quali sono i tuoi interessi?, e via dicendo. E poi quando arrivò il buffet, lui fu anche molto servizievole: le servì le pietanze che lei gradiva, le fornì da bere, chiedendolle preventivamente cosa desiderasse.

Insomma, si dimostrò un vero “cavaliere”. Per cui, quando verso la fine della serata lui le chiese il numero del telefonino, ad Ambra parve corretto fornirglielo; ma non chiese il suo, né lui si premurò di darglielo.

Però, quando a fine ricevimento, lei era tornata a casa e già stava accingendosi a mettersi a letto, il messaggio di lui le arrivò sorprendente, ma che gradito: “Grazie della compagnia. Ho avuto piacere di conoscerti, Ambra, e spero di rivederti”.

Lei, dopo qualche attimo di sbalordimento e di confusione, rispose con tono vagamente impersonale: “Grazie anche a te, Roberto. Come amico anche a me farebbe piacere rivederti”.
E poi il nuovo messaggio di lui: “Grazie, ma io spero qualcosa di più dell’amicizia”.

Lei non aveva risposto (veramente non sapeva cosa dirgli), però cominciava il sogno: ora di lui rivedeva i tratti, lo sguardo, il sorriso, oltre a quella sicurezza quasi strafottente. Il sogno, unitamente al pensiero continuo, l’accompagnò per buona parte della notte.

Il pomeriggio del giorno dopo lui la chiamò al telefono; e poi anche la sera, quando lei era già a letto: educato e dolcissimo! 159

Ambra cominciò ad intravedere i primi lineamenti dell’Amore: perlomeno quello che lei aveva immaginato nei suoi sogni di ragazza. E i lineamenti si fecero più marcati e distinti man mano che i giorni passavano e le sue telefonate sempre più frequenti e cariche di affetto e simpatia.

Lei acconsentì a rivederlo: si diedero appuntamento in un bar del centro città, per un caffè o un gelato. Il petto di Ambra sobbalzò al solo scorgerlo: ora poteva ammirarlo in tutta la sua sfolgorante padronanza, che lei giudicò fascino irresistibile. Mentre lui parlava, anche di cose banali, lei lo osservava ammaliata, e per la prima volta desiderò che le labbra di un uomo si posassero dolcemente sulle sue. Infatti, quando si salutarono e lui la baciò sulle guance, però molto vicino alla bocca, lei fu percorsa da un brivido.
Si lasciarono con l’impegno di rivedersi, sempre come amici, ma che nell’immaginario della ragazza di amichevole ormai non c’era più neppure l’apparenza.

E si rividero la settimana dopo, sempre allo stesso bar; però dopo andarono a fare una capatina al Viale dei Tigli: si sedettero su una panchina, parlarono ancora di cose banali e all’improvviso lei si ritrovò la bocca di lui premuta sulla sua. Per Ambra, ragazza semplice e costumata, educata peraltro a valori morali radicati ed inflessibili, era il primo vero bacio d’amore. Ne fu come stordita, però deliziata.

E poi venne anche il primo rapporto sessuale, naturale ed ovvio, per quanto agognato e temuto dal lei. Dell’atto, anche dopo tanto tempo, non ricordava assolutamente nulla: era come se una palla di fuoco avesse invaso il suo cervello e ne avesse distrutto parte della memoria.

Ciò che invece ricordava nitidamente era la sua meraviglia, dopo, e la sua espressione: « Perché non m l’hai detto prima? »
« Che cosa? », aveva ribattuto lei confusa.
« Che per te era la prima volta! »
Una vergogna improvvisa si era impadronita di lei, come se la sua verginità fosse una colpa, un difetto e non un pregio.
Dopo un po’ ribatté debolmente: « Cosa avrebbe cambiato? »
« Non so, sarei stato più attento. »

Una frase banale, scontata, ma a lei parve gentile, di riguardo. Era ingenua, Ambra: diversamente avrebbe capito che la gentilezza e l’amore sono cose diverse da come le aveva espresse lui. Un altro uomo l’abrebbe ringraziata, coccolata, ne sarebbe stato fiero; lui invece era sembrato quasi infastidito, comunque non piacevolmente sorpreso. Ma per la ragazza lui 160

ora era il principio e la fine del mondo: era la personificazione dei suoi sogni, del suo concetto stesso dell’amore.

E naturalmente ebbero altri incontri, altri rapporti. Però lui, diversamente dalla prima volta, adesso era previdente: usava il profilattico; e a lei la cosa, se da un lato la tranquillizzava per le possibili conseguenze, dall’altro psicologicamente le immetteva come una barriera alla naturalezza del rapporto. Però la sua felicità era ugualmente al settimo cielo.

E furono due mesi di sogno, di ebbrezza, di estasi. Ma più che il rapporto in sé, era il sentimento verso l’uomo a portare la ragazza alla felicità assoluta.
Poi… per due settimana lui si rese indisponibile: aveva impegni improrogabili, e anche telefonicamente era difficile da raggiungere.

Per Ambra, cominciarono a manifestarsi i primi dubbi, le prime gelosie, le prime angosce: che divenne strazio quando il suo telefono non diede più segni di vita; anzi, una voce avvisava che il numero non era più esistente. La ragazza fu lì lì per impazzire; e il peggio era che non sapeva come mettersi in contatto con lui: non conosceva il suo indirizzo (non glielo aveva mai chiesto), come e dove cercarlo.

Sì, lei, persa nella sua meravigliosa favola d’amore, non si era mai curata di chiedergli della sua vita, dove vivesse, con chi, e neppure che attività svolgesse.

Sull’orlo della pazzia, Ambra pensò di andare dalla sua amica Arianna, alla cui festa di compleanno aveva conosciuto Roberto, sperando di avere qualche notizia. La scusa era quella di un libro da prestarle, ma non tardò a far scivolare il discorso su quella festa e a chiederle se sapesse qualcosa di Roberto, visto che era presente.

Lei l’aveva guardata con un’espressione di sorpresa; poi aveva esclamato: « Non mi dirai che anche tu sei caduta nella trappola di quell’impostore? »
« In che senso? – Aveva ribattuto Ambra, mentre un tuffo al cuore pareva paralizzarla lì sulla sedia ove era seduta. Poi, con un indicibile sforzo per recuperare un po’ di padronanza, aveva soggiunto: - No, mi ha telefonato un paio di volte, ma poi è sparito. E sembra che non abbia più neppure il telefono!»

« E lo credo bene! – Aveva continuato l’amica, sempre con un tono esclamativo. – Lui ha avuto una ventina di telefonini: uno per ogni donna! Poi li disattiva. »

E dopo una breve pausa: « Chissà se almeno adesso si deciderà a mettere la testa a posto? » 161

« Cosa vuoi dire, adesso? »
« Che si è sposato giusto una settimana fa, dopo 6-7 anni di fidanzamento con una brava ragazza, che meriterebbe qualcosa di più di quell’emerito delinquente. Invece, povera ragazza, credo che abbia più corna lei che un cesto di lumache, e forse ne avrà ancora di più nel futuro. Ma si sa, l’amore è cieco, e lei io credo che non veda proprio nulla. »

Ambra sarebbe caduta per terra se non fosse stato che al momento era seduta sulla sedia. Sicuramente impallidì, perché l’amica le chiese se si sentisse bene. Lei rispose che da qualche tempo le avevano diagnosticato degli improvvisi sbalzi di pressione che le procuravano dei forti capogiri, come in questo momento; ma aggiunse subito dopo che comunque aveva già preso appuntamento con un neurologo per venire a capo di quei malesseri.
Ripresasi un poco, aveva chiesto all’amica come mai esternava un giudizio così negativo nei confronti di Roberto e quali effettivi rapporti aveva lei con lui. Arianna le aveva spiegato che era un suo cugino, figlio della sorella di sua madre, che abitava a C. (una città distante un centinaio di chilometri), che era un dongiovanni impenitente, cinico e privo di scrupoli.

Aveva aggiunto che ad invitarlo alla sua festa di compleanno era stata sua madre, non lei che non lo stimava affatto e che per l’appunto non era andata neppure al suo matrimonio. Alla fine aveva di nuovo compatito quella povera moglie, che sicuramente avrebbe sofferto tantissimo con quel farabutto; a meno che non avesse davvero messo la testa a posto: cosa di cui lei non credeva affatto.

Quando Ambra si accomiatò dall’amica, sentiva che il mondo le girava intorno come una trottola, e lei era semplicemente frastornata. Anzi, più che girarle intorno il mondo, le sembrava che questo le fosse caduto addosso.
L’idea del suicidio le frullò in testa diverse volte; ma la sua fede in Dio e la padronanza della sua razionalità le impedì che il proposito andasse oltre un semplice pensiero. Ma la ferita fu profonda e impossibile da guarire: così lei giudicò per diversi anni.

Infatti, di uomini non volle più saperne; e se sentiva ancora parlare d’amore, sviava il discorso o girava alla larga. Non guardò più neppure i film romantici, che tanto le piacevano durante la fanciullezza e la giovinezza; anzi, di film in una decina d’anni ne vide non più di due o tre.

Frequentò e concluse l’università, quindi si diede al lavoro, con impegno e dedizione, rifuggendo dalle illusioni di tipo sentimentale. 162

Sembrava appagata, Ambra, e comunque si sentiva realizzata sul piano sociale e lavorativo: ricopriva un’importante ruolo all’interno dell’università, dove aveva preso servizio; pur tuttavia a volte avvertiva che la sua vita era come incompiuta, che senza l’illusione dell’amore la vita stessa non ha sale, non ha significato, non ha obiettivo.

Fu infatti questa consapevolezza a farle definitivamente cancellare la ferita della delusione e ad indurla a guardarsi attorno, ad osservare gli uomini da un’angolazione diversa, a tornare a credere all’Amore: che pensò di rivedere quando conobbe Giancarlo.

Tipo diverso, all’opposto di Roberto, ma non per questo meno interessante. Anzi, proprio quella sua disincantata e serafica tranquillità, sia di natura espressiva che affettiva, a poco a poco le prospettò uun volto dell’Amore più nitido e soprattutto più vero.

E anche l’amore fisico fu diverso: non indistinto e camuffato nelle spire di un sentimentalismo irrazionale e totalitario, ma cosciente e partecipato, specie quando si materializzava, all’interno della sua coscienza, quell’ansia spasmodica e invincibile di ritrovarsi tra le braccia di lui, accoglierlo dentro di sé, fremere e godere, come mai le era accaduto prima, allorché si perdeva nell’abbraccio convulsivo di Roberto, con l’anima, sì, in fiamme, ma col corpo praticamente freddo e apatico; cosa che invece non si verificava con Giancarlo, dove il corpo era come irradiato dal calore invasivo e vibrante dell’anima.

Ed Ambra finalmente capì che quello era il vero volto dell’Amore.


PAOLA MARRANCONE è nata a Giulianova (TE) nel 1985 e vive a Bellante (TE). Autrice esclusivamente dedita alla narrativa, ha scritto alcuni racconti brevi e un romanzo, Cenerentola 2000 (di pag. 140), ultimato e attualmente in via di pubblicazione. È questa la seconda volta che partecipa a un concorso letterario (della precedente, alla quale ha partecipato con il predetto romanzo, al momento non conosce l’esito).

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