L' Importanza di essere fantastici (Sull' Importanza della creatività)





Nello scrivere di fantasia ho la stessa difficoltà di un prete che deve scrivere di Dio. 
Le cose da dire sono tante, ma così tante che forse è meglio non dire nulla. 

Nonostante la mia passione sia scrivere racconti di genere fantastico, ho avuto difficoltà nello scrivere sull’importanza della fantasia. 

Forse la miglior cosa è appropriarmi delle parole del poeta e filosofo tedesco Novalis, di fine Settecento, che teorizzò la necessità della creazione di Fantastica, una disciplina destinata a scoprire e a razionalizzare l’arte di inventare, degna di porsi a fianco della Logica. 

Non sarò io la pioniera di questa dottrina, ma mi cimenterò in qualche riflessione. 

Sono certa che uno dei fattori più limitanti la fantasia (e la creatività) delle persone sia la loro stessa esperienza, poiché tende a standardizzare concetti e immagini, incasellandoli in quelle cose che sono dei killer per la fantasia, le convenzioni. 

Se vi dico “casa” o “albero” probabilmente vi figurerete delle immagini che si assomigliano molto, e che assomigliano anche alla mia. 

Nei bambini la fantasia è a briglie sciolte perché hanno pochi, pochissimi termini di paragone per comprendere ciò con cui si interfacciano: è la loro creatività il metro di misura per capire e definire il mondo. 

In breve, se non conoscono, inventano. Nel saggio Grammatica della fantasia, Gianni Rodari teorizza giochi ed esercizi per allenare la creatività dei bambini: gliene prendo in prestito qualcuno, perché penso che la fantasia, se è utile per l’educazione dei bambini, sia allora necessaria all’adulto per dotarsi di un’approccio più felice alla vita. 

Paul Valéry scrisse «Non c'è una parola che si possa comprendere se si va a fondo» e non c’è nulla di più vero. 

Bisogna abbandonare i nostri preconcetti e educarci allo «spaesamento», questo è il termine che usa Rodari, di fronte a una parola, così che essa non sia più quella che è sempre stata, ma diventi tutto quello che potrebbe essere. 

Le parole suggeriscono concetti, i loro opposti, associazioni, parole che hanno un suono simile, ricordi e così via. Una volta concepite le parole come in potenza, ne capiremo la loro produttività, in particolare per la narrativa. 

Un altro esercizio non riguarda la parola unica ma il suo accostamento ad un’altra: basta una mente, quindi lo si può fare da soli, e in più tiene compagnia mentre si è in auto o si sta cucinando. 

Prendiamo “matematico” e “acquedotto”. Una storia possibile potrebbe riguardare il matematico può intelligente del mondo che, una volta battuti tutti gli altri in giochi di calcolo, si mette a sfidare gli acquedotti per testarne se siano davvero così dotti come suggerisce il loro nome. 

È una storia, che sia pubblicabile o no ha poca importanza, è sufficiente che ci abbia spinti a guardare il mondo sotto un’altra prospettiva. 

In questo caso con la parola “acquedotto” abbiamo ignorato il suo significato prendendo in considerazione solo il suo significante. Dobbiamo sempre guardarci dal limitare le possibilità dell’assurdo: il bello dell’esercitarci da soli è che non dobbiamo vergognarci di noi stessi. Un altro esercizio è il “Cosa accadde dopo?”: pensiamo a un libro, a un film o a una vicenda vissuta e immaginiamoci, appunto, cosa accadde dopo. 

Rodari racconta un bambino che, continuando Cenerentola, si inventò che in realtà la ragazza amava fare le pulizie e desiderò tornare a casa della matrigna assieme al principe per lavare e spolverare ogni giorno. 

O ancora il “Cosa succederebbe se?” che, oltre ad essere un perfetto espediente per esercitare il congiuntivo, consiste nell’aggiungere un fattore di imprevisto in una situazione. 

E se Pinocchio, scrive Rodari, persosi nel bosco avesse trovato la casetta di Biancaneve e si fosse aggiunto come ottavo pupillo? Se per i bambini è più facile pensare alle fiabe, nulla vieta che questi esercizi possano usare la realtà come campo d’azione, soprattutto quando si parla di adulti, che sono sempre più aggrappati a ciò che accade hic et nunc. Ecco, e se Hic e Nunc fossero due rivali che finiscono per innamorarsi e diventare inseparabili? Per non parlare poi di che sorgente di storie siano gli errori ortografici. 

Riguardo la parola cuore scritta quore, Rodari scrive: «il “quore” è senz'ombra di dubbio un “cuore” malato. 

Ha bisogno di vitamina C». Arrivati a questo punto, possiamo concludere che tutto ciò va ben oltre la narrativa. Non è solo un imparare a scrivere storie, ma è un imparare a inventare, reinventare e reinventarsi, soprattutto in una società in cui l’automazione è quasi totale: l’essere creativi sarà ciò che ci identificherà in quanto esseri umani e ciò che, soprattutto, ci distinguerà dalle macchine automatiche. 

Ma non è il momento di fare distopie. Tornando al punto, pensare in modo creativo è ciò che ci fa capire che c’è sempre una soluzione: a un racconto, a un problema, alla tristezza. 

Metto in pratica quello che ho detto finora e anziché “pensare in modo creativo” dirò pensare in modo fantastico. Già messa così cambia molto, non è vero? Per concludere con le parole di Rodari: «Tutti gli usi della parola a tutti mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico. Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo».

 di Olimpia Peroni Giurata Del XII Concorso Letterario "Città di Grottammare"

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