Il Pane Perduto Di Edith Bruck Recensione Critica A Cura Di: Maria Concetta Armetta, Vincitrice Del Premio Letteratura Per Ragazzi XII Edizione


 



Biografia

Edith Bruck nasce il 3 maggio 1931 a Tiszakarád in Ungheria in una famiglia ebrea povera. Nel 1944 il suo primo viaggio la porta, poco più che bambina, nel ghetto del capoluogo, e di lì ad Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen. Sopravvissuta alla deportazione, di cui ha reso testimonianza nelle sue opere, dopo anni di pellegrinaggio approda definitivamente in Italia, adottandone la lingua. Nel 1959 esce il suo primo libro Chi ti ama così, un’autobiografia che ha per tappe l’infanzia in riva al Tibisco e la Germania dei lager. Nel 1962 pubblica il volume di racconti Andremo in città, da cui il marito Nelo Risi trae l’omonimo film. È autrice di poesia e di romanzi, tra cui Le sacre nozze (1969), Lettera alla madre (1988), Nuda proprietà (1993), Quanta stella c’è nel cielo (2009), trasposto nel film di Roberto Faenza Anita B., e ancora Privato (2010), La donna dal cappotto verde (2012) e La rondine sul termosifone, pubblicato nel 2017 da La nave di Teseo. Nella lunga carriera ha ricevuto diversi premi letterari ed è stata tradotta in più lingue. Tra gli altri, è traduttrice di Attila József e Miklós Radnóti. Ha sceneggiato e diretto tre film e svolto attività teatrale, televisiva e giornalistica.

Fonte: Rai Cultura


Recensione Critica

“Io ho sempre scritto e quando non potevo da piccola perché avevo solo un quaderno della scuola, scrivevo con il pensiero a tutti, anche a Te!”

Scrivere per il primordiale bisogno di comunicare, quando solo scrivendo riesci a raccontare tutta te stessa: pensieri, impressioni, sentimenti, passioni, dolori... 

“Inghiottii ogni riga, ogni pagina e divorai i volumi uno dopo l’altro. Al tramonto del sole che amavo, scrivevo sul mio quaderno a matita.”

Scrivere, non prima di aver ingurgitato pagine e pagine scritte da altri e aver amato e sofferto con esse con la consapevolezza che appena possibile, anche tu avresti “scritto”.

“Anche i libri sono figli...”

E ancora, amare ciò che hai scritto al pari dei figli, perché tu hai creato e “dato al mondo” in quelle pagine una tempesta di sensazioni che solo la tua scrittura avrebbe potuto comunicare così prepotentemente.

E se poi, vuoi raccontare l’atrocità della Shoah vissuta sulla tua pelle e ti scontri con orecchie sterili ed egoiste che la negano addirittura, allora non resta che parlare alla carta e scrivere, scrivere ancora.

“Gli altri non ci capiscono, pensano che la nostra fame, le nostre sofferenze equivalgano alle loro. Non vogliono ascoltarci; è per questo che io parlerò alla carta... la carta ascolta tutto.”

L’autrice scrive e racconta sé stessa senza remore attraverso la descrizione delle sensazioni fisiche e ancor di più dei suoi pensieri più intimi: gioia, dispiaceri, delusioni, dolori, sgomento... paura. Non una paura che raggela le gambe e la blocca, ma quella paura da affrontare e non dimenticare, da vivere fin dentro le ossa per poterne poi parlare attraverso i suoi scritti a più persone possibili, ovunque... soprattutto nelle scuole, perché è lì che formeremo le future generazioni affinché con la “Memoria” tutto questo non accada mai più!


Maria Concetta Armetta

Comments