Finalmente mi avevano confermato l’Appuntamento. Le pratiche burocratiche e il nepotismo vigenti impedivano, a chi non avesse le giuste conoscenze, di ottenerlo in tempi ragionevoli. Nella maggioranza dei casi si parlava di sei o sette decenni di attesa, ma io avevo fatto intervenire un amico di mio zio di mia cognata, che di queste cose si intendeva, e foraggiando un po’ di burocrati, naturalmente a fondo perduto, mi sono bastate due settimane.
Mi avevano telefonato quella mattina “Venga subito, si è liberato un posto alle 12,30. E comunque si prepari, che forse ci sarà da aspettare”. Giusto il tempo di farmi la barba, lavarmi e vestirmi per l’occasione (non si sa mai chi ti trovi davanti), e mi sono piantato lì alle 10,30, con due ore d’anticipo in modo da guardarmi un po’ in giro e vedere la faccia di quelli che entravano e uscivano prima di me.
“È in anticipo, lo sa?” disse l’usciere, rigorosamente vestito di bianco e con due ali d’oca, anch’esse bianche, dietro la schiena (non so se erano di cartone o di plastica, ma sembravano vere).
“Si che lo so, ma non ho tempo da perdere e preferisco aspettare qui” risposi. L’usciere trovò logica la mia spiegazione e disse un laconico “faccia lei”, poi annotò l’ora d’ingresso in un registro gigantesco, e mi porse il badge dicendomi “In fondo al corridoio c’è la sala di attesa, si metta comodo, la chiameremo per nome quando sarà il suo turno”. Mi azzardai a chiedere se Lui sarebbe stato puntuale, e quello fece spallucce scuotendo le ali, disse solo di avere pazienza, a volte le priorità operative obbligano a ritardi non voluti, ma comunque non più di qualche ora.
E meno male che mi ero munito di giornale, libri, riviste, computer e telefonino, così almeno avrei avuto qualcosa da fare, oltre a guardare le facce di chi, come me, aspettava il proprio turno.
La sala d’attesa era grande e confortevole, le poltrone avevano la forma di oche con le ali aperte, le ali erano gli schienali. Era tutto bianco, a parte le persone che già occupavano la sala. Ce n’erano una decina, quasi tutti anziani. Mi sedetti vicino ad uno che indossava una camicia di flanella a quadri dai colori sbiaditi, probabilmente un contadino, che attaccò subito discorso.
“Buongiorno, anche lei ha paura?”
“Beh, io veramente…”
“Io vorrei non essere qui. Sa che prima c’erano altre venti persone in questa sala?”
“Ma davvero?”
“Sono andati tutti via. Per paura. Ma è inutile, tanto prima o poi ce li riportano con la forza…”
Mi venne da chiedere se era tanto che aspettava, dopo quanto tempo aveva ottenuto l’appuntamento, se credeva che fosse utile e via dicendo, deformazione professionale, del resto faccio il giornalista, ma fummo distratti dall’impianto di diffusione sonora che chiamava Carlo Marx. Si alzò un uomo robusto con una barba bianca invidiabile, aveva sottobraccio una copia di quello che sembrava un manoscritto.
“Si, a volte l’attesa è molto lunga…”
Non feci caso al commento del vecchio e mi immersi nella lettura dei titoli del giornale. Ci provai, almeno. Già, perché in realtà ero distratto, non riuscivo a concentrarmi, pensavo a Chi stavo per incontrare, non Lo avevo mai visto, anzi… non Lo aveva mai visto nessuno, che io sappia. Guardavo le facce di quelli che occupavano la sala e mi chiedevo cosa passasse per le loro teste: un uomo di mezza età si mordeva le unghie, una signora distinta fresca di permanente pregava, una coppia di anziani, forse marito e moglie, piangeva… a pensarci bene, solo quello che era appena entrato e il vecchio che mi sedeva vicino avevano una faccia tranquilla. Strano, pensai, e tentai di concentrarmi nella lettura di un articolo in prima pagina.
Mi accorsi di leggere a fatica, gli anni passano, e avevo dimenticato gli occhiali, per cui dovetti accantonare il quotidiano. Pensai di ricorrere al computer. Mentre lo tiravo fuori dalla borsa sentii un rumore venire da lì. Era la porta che si apriva e quell’uomo barbuto usciva, più tranquillo di prima, ma non aveva sottobraccio quel manoscritto. Uno degli assistenti con quelle ali carnevalesche lo accompagnò in un altro locale, non mi è dato sapere dove andassero, notai solo che la cortesia che usava nei riguardi del barbuto era estrema.
“Gli è andata bene… sicuramente è un raccomandato” disse il vecchietto che mi era vicino.
Ignorai il commento, e intanto dall’altoparlante si sentì chiamare Remigio. Si alzò la coppia di anziani, ma uno degli assistenti si avvicinò ed indicò alla donna di rimanere lì, la chiamata era solo per l’uomo. Lei scoppiò in lacrime mentre lui la rassicurava. Ipotizzai che i due non erano sposati e che dovevano fare i conti con qualche marachella da non dire.
Bah, nulla di interessante. Piuttosto sarebbe il caso che io mi preparassi per l’incontro. Accesi il computer… Vediamo, cosa dire a Quello lì? È chiaro che un’occasione così non va sprecata, un po’ di studio ci vuole… digitai la parola chiave… ma quali temi sono veramente importanti? Supponendo di avere tre minuti a disposizione, avrei ben poco da dire. Per avere più tempo dovevo essere convincente dal primo istante, del resto la prima impressione si fa solo una volta. Il computer era pronto. Ma dicono che Lui queste cose le sa, è Onnipresente… bah, a crederci… potrei cominciare da qui… Mi collegai in rete e digitai Onnipresente. Onnipresente un cavolo. Come permetteva certe stramberie del mondo? Se fosse stato Onnipresente, come dicono, forse qualche guerra ce la saremmo risparmiata.
Si aprì la porta e uscì quel vecchietto tenuto da due energumeni alati. Questa pagliacciata era ridicola. Altro argomento da trattare. La vecchietta si era alzata ed era andata di corsa verso il suo uomo che intanto era trattenuto a forza da quei due. Intervenne un terzo alato che prese la vecchietta da parte e la riportò di forza al suo posto, mentre il suo vecchio veniva trascinato verso un’area protetta, contrassegnata da simboli e segnali si inquietante fattura.
“Quello è fottuto” disse il vecchio che mi era vicino. L’altoparlante chiamò Beata Anatolia Giordana da Guillet et Damor, la signora pregava, fresca di permanente, si alzò.
“Vedrà, la rimanderanno indietro perché manca qualche documento, quella è qui da seicento anni e non ne viene fuori” disse il vecchio.
“Seicento anni?” dissi sorpreso.
“Bazzecole per l’eternità. Cosa vuole che sia qualche secolo per Chi è lì da sempre?”
Non risposi, il computer mi dava oltre 590.000 risultati per Onnipresente. Allora è vero, pensai. Dovetti ricredermi quando, selezionando uno dei primi risultati, trovai un aforisma di uno scrittore celebre. Non parlava di Lui. Allora onnipresente è un aggettivo, non un sostantivo. Bene, già questo mi permette di delineare un po’ meglio la strategia. Cosa gli devo dire? Forse che deve essere un po’ più democratico, perché questa storia della razza eletta, della distruzione di Sodoma e Gomorra e del diluvio universale proprio non mi va giù… quando penso che a Sodoma e Gomorra c’erano anche i bambini, anziani, innocenti… quando penso che la razza eletta è coccolata mentre gli altri possono anche essere distrutti e non ce ne importa niente…
Rumore. La porta si aprì, uscì la beata e tornò al suo posto. Il vecchio mi disse:
“Visto? Per certe persone le pratiche non finiscono mai”.
“Mai?” chiesi.
“Beh, a dire il vero non glielo so dire, ma per la Beata si prospetta ancora qualche secolo di attesa, sa com’è, in certi casi, ci vanno con i piedi di piombo”.
Digitai sul navigatore il nome completo della Beata. Ottenni 452.043 risultati. Mi limitai all’enciclopedia che riportava la storia controversa di una donna che nel 1403, a sedici anni, fu violentata da una banda di delinquenti, poi processata per adulterio e condannata al rogo per stregoneria. Secondo alcune fonti riuscì a fuggire dal carcere per intervento Divino e visse nei boschi predicando l’Amore per il Signore fino alla morte, che arrivò improvvisa e inaspettata quando la donna aveva 103 anni. Secondo altre fonti, invece, riuscì a scappare solo dopo aver offerto le sue grazie femminili ad un cardinale che la amò fino alla fine. Insomma, una bella confusione. Difficile sapere dove si trovava la verità, anche perché a volte in queste enciclopedie on-line trovi storie inventate di sana pianta.
“Forse cercano un documento che confermi la storia del bosco?” dissi al vecchio.
“Può darsi. Sa com’è, la storia del cardinale innamorato potrebbe essere vera, ma in certi ambienti non si può ammettere, per cui da seicento anni la Beata lotta con la sua coscienza: essere fedeli all’amore o accettare un compromesso che certifichi il suo ascetismo? Capisce anche lei che questa storia è di difficile soluzione”.
Sospirò, e concluse “Certe volte il Limbo è un Inferno…”
“Già” dissi, e mi rimisi a navigare.
L’altoparlante chiamò Ricolti. Si alzò l’uomo che si mangiava le unghie, tra tutti era il più giovane, oltre me, che comunque i miei sessanta li contavo agevolmente. Uno di quegli energumeni mascherati gli scansò le mani dalla bocca, dicendo che Lui non gradiva certe manie. Ricolti sputò un’unghia umidiccia e si mise in posizione eretta, diventando d’improvviso un uomo alto e possente, come forse era da giovane. Nel suo sguardo colsi tutta la dignità di uno che accetta trionfi e sconfitte con la stessa eleganza. Un ammiraglio, un capitano di vascello, o più semplicemente un giornalista non allineato, come io pretendevo di essere. Feci un cenno di saluto che lui colse forse come un augurio, solidarietà
tra presunti colleghi, e poi scomparve dalla mia vista. Ripresi a navigare e riflettere. Allora, perché non fare una nuova costituzione, dove per prima cosa si dice che tutti i cittadini sono uguali senza distinzione di razze o di credo religioso, perché mai questa storia della razza eletta, perché creare l’umanità per poi dividerla in bianchi e neri, in buoni o cattivi, in ricchi e poveri… e soprattutto, perché dare questa sensazione di giustizia ambigua? Caro Dio, se, a giudicare da certe scritture, davanti a Te siamo figli e figliastri, perché dici che Tu sei bontà infinita? Sbaglio approccio, è l’uomo che lo dice, certo non Te… Cercai sul mio computer bontà infinita, quasi 400.000 risultati, selezionai il quinto e mi trovai su una recensione di una pizzeria. Il vecchio mi interruppe.
“È da dieci minuti che quelli è lì dentro, gatta ci cova”.
“Eh?” stentai a dire, infatti erano passati dieci minuti, navigando non me ne ero accorto. “Che vuol dire?”
“Forse Ricolti l’ha sfangata?”
“Boh” dissi “mi lasci lavorare, per favore”.
“Lavorare per cosa? Lei è qui, ormai… a cosa serve?”
“A prepararmi per l’Incontro. Voglio intervistarlo. Sono un giornalista, io. Come quello che è appena entrato”.
“Ah… lei… bah…” e tacque.
Allora, cerchiamo onnisciente. Un po’ meno usato questo termine, abbiamo poco più di centomila risposte, molte sono dei richiami a reti sociali, ne sapranno qualcosa quelli che le popolano? E comunque mi chiedevo perché uno come Lui, che si dice Onnisciente, lascia correre. Che se ne fa delle carestie, della violenza, della corruzione? Onnisciente forse sì, ma evidentemente non ha grande interesse in quello che le Sue creature combinano, perché, ahimè, di pasticci se ne vedono anche troppi.
La porta si aprì, uscì Ricolti saltellando di gioia, anche quei giganti mascherati saltellavano con lui… fece in tempo a guardarmi, mi fece l’occhiolino prima che uno dei suoi guardiani lo coprisse con l’ala destra.
“Gli è andata bene” disse il vecchio.
“Lo vedo” dissi io.
“Ma mi dica, la vedo molto attento alle sue ricerche, lei non è qui per lo stesso motivo degli altri, vero?”
“Ehm…” non sapevo se fidarmi, ma sembrava in buona fede, per cui osai “Veramente, io…”
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